Sellaronda e altro - Mountain bike nella Val Gardena in Alto Adige

"Fango?" Con la fronte corrucciata in segno di riflessione, Manuel ripete l'ultima parola che ho chiesto e mi guarda con un po' di incomprensione.
"Fango, melma", interviene prontamente Michi. La direttrice delle BikeHotels in Alto Adige è evidentemente abituata a tradurre dall'austriaco al tedesco. Ma l'espressione di Manuel rimane pensierosa mentre mescola il suo espresso con un cucchiaino; come se davvero non sapesse cosa sia la terra bagnata e fangosa. O forse non c'è una parola per questo in ladino.
Ieri alla stessa ora, sui sentieri polverosi tra Col Raiser e Passo Gardena, avrei potuto credere a entrambe le cose. Ma dopo il nubifragio di ieri sera, che questa mattina ci ha già fatto volare intorno un sacco di fango, mi sembra improbabile.
"Mauta!" esclama infine la nostra guida.

Mauta. Un altro vocabolo per il mio immaginario dizionario tedesco-ladino. E uno molto importante, come scoprirò nel corso del tour di oggi.
Mentalmente provo a collocarlo accanto a Tiëra, terra, e Giara, ghiaia. Ma questa antica lingua si rivela ostinata, sfugge dalla mia memoria più velocemente delle marmotte sulla Seceda nei loro rifugi.
È il momento di scrivere ciò che ho imparato. È il momento di fissare le esperienze vissute.

Detto, fatto. Ci siamo messi in movimento, percorrendo circa cinque chilometri verso valle fino al primo centro principale della Val Gardena, St. Ulrich ovvero Ortisei/Urtijëi. Per questo tratto abbiamo utilizzato il percorso pianeggiante dell'ex Ferata de Gherdëina.
Costruita nel 1915, nel mezzo delle confusioni della prima guerra mondiale da 6.000 prigionieri di guerra russi in condizioni disumane in soli cinque mesi, la ferrovia a scartamento ridotto che originariamente collegava Chiusa a Plan era destinata al trasporto di materiale bellico per il fronte delle Dolomiti. Oggi, trasformata in un percorso pedonale e in parte ciclabile, la linea, dismessa nel 1960, serve a uno scopo nuovo e particolarmente comodo per noi.

Il viaggio è diventato ancora più confortevole grazie alle funivie Furnes e Seceda, che ci hanno trasportato rapidamente da circa 1.300 a oltre 2.400 metri. E ciò, nel caso della cabina di grandi dimensioni, è stato persino spettacolare, poiché nel tratto superiore passa proprio vicino alle imponenti pareti occidentali del popolare punto di interesse fotografico.
L'aria era rarefatta, lassù, e il magnifico panorama era avvolto dalle nuvole. "Nibles", annotò rapidamente il cervello desideroso di apprendere nel quaderno di vocaboli immaginario.
Raschötz, Seceda e le cime delle Odle si nascondevano quasi completamente dietro veloci cortine di nuvole grigie, e anche guardando verso la Sella, il Sassolungo, il Catinaccio e l'Alpe di Siusi, la vista a distanza, per cui questo posto privilegiato delle Dolomiti è così famoso, ci è stata negata. La scena diventava tanto più drammatica quando le nuvole si sollevavano brevemente e per pochi secondi rivelavano pareti scoscese, precipizi selvaggi e bacini impressionanti.

In realtà, l'associazione turistica sta cercando di ridurre il mountain biking sulla Seceda. I sentieri sono troppo affollati, e il punto panoramico, reso famoso da uno screensaver di Windows, è troppo ambito per avere spazio, nelle belle giornate, accanto ai numerosi asiatici e seguaci di Instagram.
Ma i sentieri ghiaiosi più larghi sotto l'imponente Pietra Pendente Pieralongia non sono ancora stati chiusi, e così abbiamo proseguito attraverso i magnifici pascoli dell'area sciistica e escursionistica di Col Raiser e le baite Sofie, Daniel e Odles, dirigendoci verso il massiccio della Stevia. Più scendevamo e più ci spostavamo verso est, più diventava solitario; anche se in punti di sosta come l'"Utia de Ncisles", dove abbiamo fatto una breve pausa, o la "Juac", dove abbiamo ammirato i prati ondulanti come le nuvole, non si è mai veramente soli.

Allora perché salire lì, quando non mancano alternative degne e completamente permesse? Perché di fronte a tutta quella maestosità rocciosa e meraviglia alpina, sarebbe davvero un peccato perdersela.
Soprattutto dopo il rifugio Regensburger, quando le torri a punta della Stevia si avvicinano sempre più, poi un sentiero forestale lungo un ruscello offre varietà, e infine si apre il portale verso il Vallungo, pietroso e potente e mistico e alto - a sinistra le pareti del gruppo del Puez, a destra i monti Chedul (che danno il nome al nostro alloggio) e il Col Turond, e nel mezzo ora boschi di larici verdi e rigogliosi, che in autunno diventano sicuramente colorati in modo quasi kitsch e belli.
Infatti, anche Daniel raccomanda di visitare la Val Gardena o subito a giugno, all'inizio della stagione, o poi di nuovo in autunno, quando il cambiamento di colore del paesaggio già spettacolare lascia il proprio segno speciale. "Da settembre, i sentieri e le baite appartengono di nuovo solo ai ciclisti, e il tempo è anche molto stabile", sa la nostra guida.

A proposito di tempo: era già stato più buio e umido in questo primo giorno. Rinvigoriti da uno spuntino a base di pancetta, penne e gnocchi, siamo quindi partiti dopo una tarda pausa pranzo presso il rifugio Ciampac ai piedi della Stevia, proseguendo verso il Passo Gardena. La funivia Dantercepies ha assunto, per fortuna, l'ascensione di 646 m fino a questa sella tra le cime del Cir e il massiccio del Sella.
Con Cir Tiëra e Cir Giara, avevamo qui per la prima volta la scelta tra due percorsi MTB costruiti. Per raggiungere i successivi Plans de Frea, abbiamo optato per la variante in ghiaia, ovvero Cir Giara - e infatti: soprattutto all'inizio, il sentiero ha fatto onore al suo nome, serpeggiando su terreno scivoloso e instabile a zigzag verso il Passo Gardena. Sempre spettacolare e a portata di mano davanti ai nostri occhi: il massiccio del Sella.
Che volo e delizia, che meraviglia e contemplazione! Di fronte a questo incredibile scenario, ho trovato difficile concentrarmi sul sentiero, anche se avrebbe meritato attenzione a causa di alcuni salti e piccole gradinate, curve paraboliche e infine persino ostacoli di legno!

Poiché nel programma del nostro menu di tour c'era la Sellaronda, non solo il fiore all'occhiello della regione, che si può conquistare a scelta anche come giro sciistico alpino, giro in moto, tour con gli sci o classico in bici da corsa. Secondo le previsioni del tempo, dopo gli ultimi residui di pioggia mattutina, ci attendevano anche condizioni da sogno per catturare e assorbire ciò per cui questo giro intorno al massiccio del Sella e attraverso quattro valli dolomitiche – Val Gardena, Alta Badia, Val di Fassa, Val Fodom – è così famoso in tutte le sue varianti: la vista mozzafiato su tutto ciò che nelle Dolomiti ha prestigio e nome.

E così ci troviamo seduti nel rifugio presso la stazione di monte della seggiovia Braia Fraida e vediamo: poco o niente.
Nuvole grigie, pesanti di pioggia o una fitta nebbia, da cui trasuda umidità, ci hanno accompagnato sin dalla nostra partenza e hanno offuscato il panorama o lo hanno fatto scomparire del tutto. Dove il giorno prima saremmo quasi inciampati nelle ripide pareti nord del gruppo del Sella e non ci stancavamo di ammirare il dialogo roccioso tra le cime del Cir e le torri dei quasi tremila metri, oggi c'era solo un'infinità umida e bianca come ovatta. E dove ieri c'era polvere e una discesa leggera e sabbiosa, oggi regnava terra unta e argilla umida.

Anche questo ha il suo fascino. Tuttavia, non è il tempo ideale per fotografare. Quindi, ci siamo fermati alla Ütia i Tabla, per attendere il miglioramento del tempo previsto bevendo un cappuccino o un espresso e, approfittando dell'occasione, per imparare alcune parole della lingua più antica dell'Alto Adige.
Ferrovia? Ferata.
Funivia? Condla.
Alpe? Mont.
E a proposito: il fatto che Utia, la parola per "capanna", sia scritta in Gherdëina senza puntini sulla lettera iniziale, ma qui, più a sud nella valle di Gardena, con i puntini, non è un errore di stampa. La Val Gardena è una delle cinque valli dolomitiche intorno al massiccio del Sella, dove il ladino si è preservato a causa dell'isolamento storico di queste regioni - ma ogni valle ha sviluppato le sue particolarità fino a parole completamente diverse.
Marmotta? Muntaniola.
Ciao? Hoi.
Manuel si dimostra un insegnante molto paziente, specialmente quando si tratta della pronuncia, che a volte è molto difficile. D'altronde: non si perde nulla. Fuori le nuvole sono ancora così basse che a malapena si può distinguere il versante della montagna opposto.

Ma appena scesi dalla gigantesca cabina della funivia che collega l'alta Val di Fassa al Passo Sella, ci accoglie un radioso lum del soreie – sole splendente.
La stessa compagnia di viaggio, che poco prima condivise alcuni biscotti con le mani inzuppate d'acqua e guardava con un pizzico di malcontento attraverso i veli di pioggia davanti al finestrino della cabina, ora esce sul piazzale della stazione di montagna Rodella e non riesce a credere a ciò che vede dall'altra parte della montagna, nella Val Gardena:

Il Sassolungo, che lentamente e pensierosamente si libera dall'abbraccio delle nuvole. Il Gruppo del Sella, che solleva il suo cappello grigio pezzo per pezzo, finché non lo leva completamente. La Marmolada, che fa capolino sempre più spesso dal mare di nuvole, fino a quando, poco prima di raggiungere il Passo Sella, si erge davvero davanti a noi in tutto il suo splendore.
E all'improvviso persino un arcobaleno, che si estende sopra, tra e accanto a tutto questo, in una doppia veste e scintillante di gioia di vivere in rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola.

È quasi troppo kitsch per essere vero. Su dolci prati alpini baciati dal sole e attraverso un vero tappeto di intensissime rose alpine fiorite di rosa ci rotoliamo nella nostra felicità.
Sorridiamo delle assurdamente minuscole cabine del leggendario Sassolungo-Korblift, un originale turistico degli anni '50, e ammiriamo quanto diversamente possa apparire lo stesso massiccio montuoso semplicemente spostandosi di qualche metro. Scopriamo una formazione rocciosa dall'aspetto misterioso, i cui blocchi disposti come una città di pietra di varie dimensioni possono servire agli umani come palestra di arrampicata; ma per le fate, i nani e altre creature mitologiche, di certo, come luogo di residenza ideale e di divertimento.
Ci nascondiamo per ascoltare le marmotte e ammirare i rapaci. E quando infine superiamo la stazione a monte della seggiovia del Gran Paradiso, iniziamo l'ultima discesa della nostra battaglia di quattromilacinquecento metri di dislivello.

"Voglio essere onesto: Non sono un fan dei percorsi flow troppo levigati. Ma la Paravis-Line è davvero spettacolare. E non solo a causa dei suoi ampi tornanti e delle sue alte onde, che creano una vera sensazione di montagne russe, ma anche perché si possono gustare velocemente grazie alla traiettoria larga e aderente.
È anche, e soprattutto, l'abile integrazione nei vasti prati tra il Sassolungo e il Sella, che rende questo sentiero, ladinamente nominato, paradisiaco. Dove altrimenti si trova, all'uscita di una curva, una parete d'arrampicata che si erge per quasi 1.000 metri e alla successiva una terrazza di roccia larga oltre sette chilometri? E quando altrimenti si ha l'impressione, emergendo dallo slancio della compressione, di saltare direttamente su un gigantesco altopiano montano?"